Ieri, presso l'Istituto Galileo Galilei di Crema, abbiamo aperto un percorso biennale di formazione-intervento che dovrebbe accompagnare la scuola a individuare le proprie esigenze di formazione e sviluppo in materia di tecnologie didattiche per progettare a partire da esse dei percorsi di sperimentazione nelle classi.
L'incontro, aperto da due stimoli filmati relativi ad altrettanti servizi del TG5 e del TgTT, è stato costruito sulla problematizzazione di tre parole-chiave: innovazione, apprendimento, insegnante.
In tema di innovazione, visti i limiti del determinismo tecnologico (introduco tecnologia = produco innovazione), si è proposta come griglia per la valutazione della propensione di un'organizzazione ( e la scuola lo è) ad accettare l'innovazione quella proposta dalla sociologia della tecnica che riconduce tale propensione a cinque fattori:
1. visibilità dell'innovazione
2. complessità dell'innovazione
3. culture di appartenenza
4. rapporto costi-benefici
5. possibilità di test.
La questione degli apprendimenti è passata, tra l'altro, attraverso la proposta della scuola di Orrsa, in Svezia, che suggerisce come l'introduzione delle tecnologie didattiche in scuola possa produrre almeno i seguenti vantaggi:
- Raccogliere fatti
- Presentare messaggi
- Diritti democratici
- Più linguaggi
- Una scuola più divertente
- Recupero, aiuto sostegno
- Comunicare con altre realtà
- Rispondere al mercato
- Preparare al futuro
Infine ci si è confrontati sull'insegnante. Muovendo dalla certezza della sua fondamentale funzione (soprattutto in ragione della nuova configurazione dei media digitali come ingrediente costitutivo della cittadinanza dei soggetti e dei conseguenti compiti della scuola) se ne sono individuate le sfide: la società complessa, il nuovo profilo dei "nativi digitali", il rapporto tra "vecchie" competenze e "nuovi" linguaggi. Con un interrogativo aperto: che fare?